giovedì 24 aprile 2014

Corsi e ricorsi storici: "aria, spazio vogliamo!"

Ecco un documento dell'immutata relazione schizofrenica dei tarantini con il proprio passato.
Prima si demolisce in nome della pulizia e del progresso.
Poi si piange per la perdita dei beni più preziosi.
Dopo 140 anni, in Città Vecchia, nulla è cambiato!



«Quell'immane massa nera, quello screpolato baluardo, che è la Cittadella, fra non molto non disegnerà più le sue forme titaniche sul cielo della nostra Taranto. I nostri voti sono appagati. Essa non ci ricorderà più i tristi tempi del Medio Evo, tempi di lotte, di sangue e di barbarie, allora quando ogni città era un piccolo regno chiuso, isolato, dominato dalla tirannia d'un signorotto, allora quando l'Italia era straziata dal feudalesimo [...]; fu innalzata per chiudere la città da quel lato, la si atterra per scovrire la città da quel lato. Aria, spazio vogliamo! A terra i baluardi che servivano alla tirannia dei signori e che significavano forza e potere: la forza e il potere che aborriamo. Ora non si ha più bisogno di torri e merli, ora che la febbre di libertà brucia»
(dall'articolo La Cittadella, in «La sferza», anno II, n. 13, 7 ottobre 1883).

Durante la demolizione, il poeta locale Emilio Consiglio scrisse: 

"Or che lotti, benché stanca / contro il ferro che ti sfianca / io per te trovo nel core / un accento di dolore. // E, fra poco, allor che tutto / di te il ferro avrà distrutto, / cercherà, ma invano, il sole / la superba antica mole / ..."

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